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Informiamo i gentili lettori che stiamo preparando una serie di presentazioni concernenti  interventi di criochirurgia sul volto, sul collo e sulla lingua di pazienti affetti da melanoma cutaneo.
Detti interventi, eseguiti nell’arco di questi anni, dal Dott. Marco Scala e suoi collaboratori evidenziano  gli effetti e l’efficacia della criochirurgia.
Facciamo notare che i sorprendenti risultati correlati alle  basse temperature non sono ancora biologicamente conosciuti, cioè le ragioni biochimiche che sono le conseguenze dell’effetto criogenico dell’intervento, sono in fase di studio.
Membri della nostra equipe si stanno interessando a tali ricerche che verranno in seguito dettagliatamente descritte.
(Dott. Avalle)





La criochirurgia dermatologica.
(del Dott. Scala M.)


Generalità.

Sappiamo che la criochirurgia dermatologica è iniziata alle soglie del secolo scorso subendo una continua e progressiva evoluzione tuttora in fase d’incremento.[1] Lo sviluppo di tutte le scienze è sopportato da quelle collaterali che contribuiscono al suo ampliamento. Ciò accade inesorabilmente anche per quelle mediche. Nell’evoluzione scientifica e tecnologica, avvenuta nel corso degli anni, i progressi si basano sullo sviluppo di nuovi agenti criogenici, e di moderne strumentazioni da usare nel trattamento delle malattie della pelle, esse sono il frutto ottenuto nei laboratori di ricerca, e grazie all’esperienza clinica. Ciò ha dato alla criochirurgia un posto come preziosa ed efficace norma in chirurgia dermatologica [2]. La criochirurgia è un metodo versatile che è utilizzato per molte lesioni cutanee benigne, premaligne e maligne, (come avremo occasione di verificare nel seguito di questo capitolo) sia come forma primaria che  scelta di trattamento [3]. La terapia ha come obiettivo di ridurre la temperatura della pelle sino a valori di molto inferiori allo zero, producendo così la distruzione localizzata del tessuto [4]. La guarigione della ferita avviene per seconda intenzione (e ne parleremo in seguito).
Facciamo notare che la parola "crioterapia" è spesso usata in modo intercambiabile con la criochirurgia, anche se con criochirurgia, chirurgia criogenica, crioablazione, o criocoagulazione sono descrizioni più accurate e specifiche delle moderne tecniche di congelamento dei tessuti per ottenere una ben definita risposta terapeutica. Gli studiosi di questa scienza attribuiscono l'origine del termine crioterapia al Professor Bordos nel 1912 e in seguito al dott. Giraudeau nel 1928. Sappiamo che nel 1930 Lortat-Jacobs e Solente [5] hanno pubblicato la monografia dal titolo "La Cryotherapie", nella quale sono descritti i diversi modi in cui sia il freddo che il congelamento hanno trovato uso e spazio in medicina, in particolare dermatologia e ginecologia.






Introduzione.
La criochirurgia può essere un trattamento adatto per molte lesioni benigne e precancerose della cavità orale, nonché per pazienti selezionati con carcinoma a cellule squamose.
Sebbene l'uso della criochirurgia nella malattia orale sia ancora limitata, i suoi vantaggi  possono modificare quest’atteggiamento e, nel prossimo futuro, è probabile che diventi un nuovo standard di trattamento per le seguenti ragioni:

  • il facile accesso alla cavità orale per mezzo di diversi tipi di sonda;
  • l'eventuale uso di una crema anestetica in applicazione topica;
  • il trattamento di pazienti ad alto rischio - chirurgico e/o con deficit di coagulazione;
  • il trattamento di ampie lesioni con maggiori possibilità di riabilitazione funzionale;
  • un decorso postoperatorio relativamente indolore, con solo un lieve edema, che richiede un uso limitato di analgesico, e una morbida dieta che può essere assunta durante i primi giorni postoperatori;
  • il controllo visivo diretto della crionecrosi nella zona d’intervento, e la possibilità di ripetere cicli di congelamento sulla malattia residua.



Stati Uniti primi realizzatori della criochirurgia.

La criochirurgia dermatologica ha iniziato a New York su suggerimento del professor Charles E. Tripler, che ha avuto la capacità di servirsi dell'aria liquida nel 1893, e ha esortato il suo utilizzo nelle terapie sperimentali [6].
Gli usi terapeutici iniziali erano per gli interventi delle malattie della pelle, e nel 1899 il Dott. A. Campbell White [6] di New York, ha riferito l’uso delle basse temperature per il trattamento di nevi, verruche, ulcere varicose, bolle, pustole, herpes zoster, ed epiteliomi. Ha applicato l’aria liquida in forma di spray o per mezzo di un tampone immerso nel fluido criogenico. Pochi anni dopo, nel 1907, Whitehouse [7] descrisse l'utilizzo di un flacone spray di aria liquida, anche se ha trovato l'uso di questa tecnica difficile e smise di utilizzarlo a favore di un batuffolo di cotone. La sua esperienza include anche quindici casi di epiteliomi. Bowen e Towle [8] hanno concluso che l'aria liquefatta era un ottimo agente terapeutico, anche se poco pratico a causa della difficoltà di ottenerlo. Gold [9] in una relazione del 1910 incentrò sul suo utilizzo nell’epitelioma precoce, lupus eritematoso, vascolare nevi, e verruche. Tuttavia, si è fatta poco menzione dell'impiego di aria liquida dopo questi interventi.
Allo stesso tempo, l'impiego in chirurgia di neve di CO 2 (-78,5°C) fu favorito dal Dott. William Pusey, di Chicago, nonostante che era sostanzialmente più calda dell’aria liquida (circa -180°C). La CO 2 è stata tenuta allo stato liquido a una pressione di circa 800 psi. Il suo rilasciato in aria, con la conseguente diminuzione della pressione causa congelamento e formazione di una neve bianca che è raccolta in una sacca di camoscio (pelle). Il solido è poi compresso in forme appropriate, o bastoni, per essere in seguito applicata sulla pelle. La profondità del congelamento prodotto da questa tecnica era di circa 1-2 mm con un tempo di contatto di 10-30 secondi [10]. Nel libro di Basso furono descritte le varie tecniche per la formazione di bastoni di CO 2, il modo di martellare la neve in stampi, e le diverse tecniche per la formazione di questi strumenti. Detto libro fu pubblicato nel 1911 [11]. La CO 2 solida è stata l'agente criogenico più popolare agli inizi del 1900, e si è cercato, quindi, di elaborare strumenti per facilitarne il suo utilizzo, come ad esempio punte di rame o di sonde collegate a una sorgente di CO 2 o aria gelida forzata sotto pressione attraverso un tubo pieno di CO 2 solida [5,12,13].
Nel 1920, l'ossigeno liquido (-182,9°C) divenne disponibile in commercio, ma ottenne solo un uso limitato nel trattamento delle malattie della pelle. Abbiamo pochi  riferimenti medici e riteniamo che il limitato utilizzo dell’ossigeno in sala operatoria risieda nella sua pericolosità, cioè nella sua facilità a esplodere e nel facilitare gli inneschi d’incendi.
Dopo la seconda guerra mondiale, i fluidi criogenici, in particolare ossigeno e azoto, divennero facilmente reperibili in commercio. Il loro utilizzo è stato rapidamente adottato in biologia e medicina per vari scopi. L'azoto liquido (-195,8°C), che non favorisce la combustione, è stato introdotto nella pratica clinica nel 1950 da Allington [14].
In questi anni Kurtin [15] si è servito di una bomboletta spray di cloruro di etile come agente anestetico durante la dermoabrasione. Tuttavia, studi sperimentali e clinici con cloruro di etile e i composti idrocarburici fluorurati hanno dimostrato che gli agenti non producevano congelamento più di 1-2 mm di profondità [16-18].  La loro utilità principale era come agente anestetico per la chirurgia superficiale.
Nel 1960 Hall [19] ha cercato di determinare quale tecnica avrebbe fornito risultati migliori. Brodthagen con trentadue esperimenti ha indagato la profondità del congelamento e la sua relazione con la pressione di applicazione. Anche con l'uso di pressione sul bastone CO 2, la profondità di distruzione era inferiore a 2 mm. Lo scambio di calore era meno efficace con la  CO 2 che con l’azoto liquido, perché non vi era una differenza di temperatura efficace a favore di quest’ultimo.
In un interessante rapporto nel 1961 Grimmett ha descritto le limitazioni dell’applicatore intriso dell’azoto liquido, [20] egli ha studiato al microscopio la profondità di distruzione mediante biopsia diversi giorni dopo il congelamento ed ha verificato la limitata capacità di congelamento. E’ fisicamente riscontrato che la massa termica di un tampone intriso di azoto è limitata, e lo scambio di calore tra il tampone e il tessuto è scarso. Con queste tecniche non si apporta quello scambio termico desiderato al fine di ottenere la profondità di congelamento richiesta. Queste furono le ragioni che fecero della criochirurgia una norma terapeutica piuttosto irrilevante. Nel 1960, Zacarian e Adham [21, 22] hanno tentato di ottenere una maggiore profondità di penetrazione del tessuto attraverso l'utilizzo di dischi solidi di  rame che sono stati raffreddati per immersione in azoto liquido prima dell'applicazione sulla pelle. I dischi di rame avevano una buona capacità termica ed elevate caratteristiche di scambio termico rispetto agli applicatori di cotone. Essi fornivano anche la possibilità di esercitare una pressione sulla lesione. Fu in tal modo ottenuta una distruzione tissutale a una profondità di 7 mm, fu certamente un miglioramento nella tecnica, ma il congelamento di grandi aree di tessuto, com’è necessario nel trattamento di neoplasie cutanee, non era ancora raggiunto.

    






Fig 1. particolare di un tipo di criosonda per uso in otorinolaringoiatria (foto Dott M. Scala)



L’era della moderna criochirurgia dermatologica.
                                          
Come abbiamo avuto modo di osservare nei capitoli precedenti lo sviluppo della criochirurgia come moderna tecnica terapeutica è iniziata con la creazione di un apparato criochirurgico automatizzato per opera di Cooper e Lee [23] nel 1961. L'apparecchio, utilizzante azoto liquido in un sistema chiuso, ha permesso l'estrazione continua e rapida del calore dai tessuti. E’ caratterizzato da un sistema di controlli che regolano la temperatura della superficie della sonda congelante. È stato originariamente progettato per produrre una lesione criogenica nel cervello per il trattamento del morbo di Parkinson e di altri disturbi neuromuscolari. Cooper, un neurochirurgo, e i suoi associati a New York hanno stimolato un notevole progresso  per la criochirurgia. Le loro relazioni del suo impiego nelle malattie dei gangli della base, tumori cerebrali, cancro viscerale e disturbi degli occhi, sono diventate un grande riferimento scientifico [24-29]. Dopo la creazione di questi apparati vi fu un  immediato interesse dei chirurghi per le potenziali e ampie utilità in diverse specialità della medicina tra cui la dermatologia. Questo successo può essere attribuito al monumentale lavoro di Cooper [30]. L’opera encomiabile di due dermatologi americani, Douglas Torre, a New York, e Setrag Zacarian, a Springfield, Massachusetts, è stata la base che ha contribuito sostanzialmente allo sviluppo della moderna criochirurgia dermatologica al suo sviluppo con la costruzione di un apparecchio specificamente adatto alla pratica dermatologica.
Douglas Torre era anche un inventore esperto in termodinamica e fluidi criogeni. Ha usato gli apparecchi di Cooper per le malattie della pelle, ma li ha trovati troppo ingombranti e costosi per l'uso perciò li ha modificati. Nel 1988 il dott. Torre fu coautore di un libro con Lubritz Kuflik sugli aspetti pratici della criochirurgia [31].
Nel 1967 Setrag Zacarian descrisse un dispositivo simile di pari efficacia, ma quest’unità non conseguì il successo desiderato a causa delle sue dimensioni eccessive, del suo peso e delle lunghe  linee di  cavi [32]. Zacarian [18] ha pubblicato le sue ricerche e i dati clinici in una monografia nel 1969, e in seguito  con altri due libri [33,34].
La via per lo sviluppo e il progresso della criochirurgia clinica era tracciata e la ricerca germogliava in diversi settori della medicina e dermatologia. Andrew Gage, noto chirurgo, ha intrapreso ricerche di laboratorio che hanno avuto importanti implicazioni per la criochirurgia cutanea. Nel 1965 Gage et al. [35] hanno dimostrato l'efficacia della crioterapia nel cancro orale. Gage [36] presentò le tecniche del trattamento del cancro del retto operabile con la crioterapia. E' stato anche un promotore per organizzare la Società di criochirurgia, l'American College of Cryosurgery, e per avvicinare i dermatologi con i medici di altre specialità per condividere la loro conoscenza della criochirurgia. Nel 1990 è coautore di un libro con Kuflik che prevedeva un riesame della criochirurgia e il trattamento del cancro della pelle criochirurgico [37].
Queste nuove norme di trattamento, indussero un numero di dermatologi negli Stati Uniti a iniziare e a includere la criochirurgia nelle loro pratiche per un’ampia varietà di lesioni. Furono organizzati seminari dermatocriochirurgici e centri di lavoro per diffondere le loro conoscenze.
Nel corso degli anni, Kuflik [38,39] ha mostrato il valore della criochirurgia per lesioni maligne difficili e grandi, verruche periungueali, e per quelle condizioni che non erano state in precedenza trattate con questa tecnica. Ha svolto, inoltre, attività di ricerca clinica, ha pubblicato numerosi articoli e capitoli, ed è coautore di due libri sulla criochirurgia  [3,31,37,40]. Graham [41] ha aperto la strada all'uso della crioterapia per l'acne, e pubblicato numerosi articoli e capitoli. Lubritz [42] è stato decisivo nella creazione della crioterapia come forma primaria di trattamento per la cheratosi attinica, e co-autore di un libro sulla criochirurgia con Torre e Kuflik  [31].
In quel periodo vi fu  anche molto interesse per la criochirurgia dermatologica in altri paesi. Castro-Ron, a Caracas, Venezuela, pioniere della criochirurgia per il trattamento di emangiomi di grandi dimensioni, che mostra il suo valore nel trattamento del cancro della pelle di grandi dimensioni, e per l’attività palliativa. Egli viaggia molto per tenere conferenze ed è in gran parte responsabile per la formazione dell’Ibero Latin American Society of Cryosurgery. In Gran Bretagna, Dawber, Shepherd, Sonnex, e Holt hanno condotto le necessarie ricerche cliniche. Turjansky e Stolar [43] a Buenos Aires, hanno raggiunto una grande esperienza clinica e hanno pubblicato un libro in lingua spagnola sulla criochirurgia. In Portogallo, Goncalves ha mostrato il valore della gestione criochirurgica per i tumori di grandi dimensioni e inoperabili. Breitbart, in Germania, ha aperto la strada all'uso degli ultrasuoni per il monitoraggio della criochirurgia.
I nuovi dispositivi pionieristici hanno portato allo sviluppo di diversi modelli di unità criochirurgia [44-46]. Oggi l'unità dominante in uso è il dispositivo portatile contenente azoto liquido, più comunemente usato come spray, e meno spesso con una sonda criogenica, noto anche come contatto terapia. (Figura 1) [47].
Un cambiamento importante nella terapia era l'abbassamento della temperatura di congelamento nella gestione del carcinoma delle cellule basali e squamose [48]. Sebbene la maggior parte delle malattie della pelle sono trattate con il solo controllo del giudizio clinico, la misurazione della temperatura del tessuto con termosensori è una buona pratica per accertare che sono raggiunte le temperature letali nel tessuto bersaglio [4,31,39,48,49]. L'obiettivo fondamentale del trattamento è di raggiungere una temperatura tra i -50°C ai -60°C per tutto il tumore [50]. Le tecniche sviluppate da Torre, Zacarian, e Gage sono essenzialmente le stesse oggi in uso.
Possiamo quindi affermare che la criochirurgia dermatologica è stata accettata come pratica clinica e il numero di medici che la utilizzano è costantemente in aumento.  Più di cinquanta tipi di lesioni benigne e dermatosi sono considerate suscettibili di criochirurgia, tra cui ad esempio diverse condizioni come l'acne cistica, cromomicosi, dermatofibroma, leishmaniosi, mollusco contagioso, cisti mixoide, venosa lago, verruche periungueali, e altri [3]. Le lesioni premaligne quali la cheratosi attinica, la lentigo maligna, la malattia di Bowen, la cheratoacantoma e la cheilite attinica sono trattate in modo ricorrente [43, 51,52].

 



Cenni sulle applicazioni della criochirurgia.



Riprendiamo l’intervento (fig.2) la cui descrizione è stata pubblicata nel gennaio del 2006 [53].

Menzioniamo il caso clinico di un soggetto donna di 101 anni. Paziente con melanoma avanzato maligno della pelle del viso. Questo esempio è segnalato al fine di valutare la fattibilità e la tollerabilità della tecnica utilizzata, nonché le implicazioni biologiche che il trattamento criochirurgico ottiene in questa neoplasia specifica.








Il trattamento è stato realizzato per mezzo di applicazioni criochirurgiche seriali che sono state conseguite nell’arco di tre mesi (fig. 3,4,5). La massa della lesione ha subito un trattamento con una criosonda ad azoto liquido mentre la malattia residua con criosonda a protossido d'azoto, mediante la tecnica d’inserimento.













Il trattamento è stato realizzato per mezzo di applicazioni criochirurgiche seriali che sono state conseguite nell’arco di tre mesi (fig. 3,4,5). La massa della lesione ha subito un trattamento con una criosonda ad azoto liquido mentre la malattia residua con criosonda a protossido d'azoto, mediante la tecnica d’inserimento.








fig. 5 E’ chiaramente visibile lo stato fisico e
   psicologico della paziente dopo l’intervento.


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Un grazie particolare al chirurgo Davide  Marenco


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